Nasce un bambino, nasce una mamma.
Dinamiche psicologiche ed emotive in gravidanza
La gravidanza è per definizione popolare il tempo dell’attesa. In un mondo dove tutto sembra correre a velocità sostenuta l’attesa costruttiva, la preparazione, sono valori da riconquistare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (1946) stabilisce che “la promozione della salute e del benessere in gravidanza implica il prendersi cura della donna come persona, ossia nella complessità degli aspetti biologici, psicologici e socioaffettivi”. Alla luce di ciò si rileva come le dinamiche psicologiche ed emotive in gravidanza debbano necessariamente essere considerate per il benessere della futura mamma, del nascituro e non solo. Il presente articolo si propone di esplorare, seppur in modo sintetico e per ragioni di spazio non esaustivo, l’esperienza della gravidanza e di mettere in risalto l’utilità di una consulenza psicologica in questa importante fase della vita di una donna, volta ad individuare in via preventiva alcuni fattori di rischio che potrebbero condurre a difficoltà emotive di varia entità con conseguenze sia sul bambino che sull’intero nucleo familiare. La gravidanza è un evento fondamentale del processo maturativo della donna. La modificazione dello schema corporeo, i cambiamenti della propria femminilità, la ridefinizione delle posizioni all’interno del sistema familiare comportano una destrutturazione e ridefinizione del senso di identità. Se da un lato oggi la decisione di diventare madre è passata da destino ineludibile di un tempo, dove la capacità generativa rappresentava l’essenza della femminilità, nonché l’unica via per la realizzazione femminile, a progetto desiderante; dall’altro porta la donna a dover imparare a destreggiarsi nei diversi ruoli con delle conseguenti nuove difficoltà. Secondo la Psicoanalista Therese Benedek (1956) la gravidanza si può considerare un evento di origine psicosomatica durante il quale è importante la modulazione psicologica ed emozionale sugli eventi somatici. La Bibring (1956, 1961), invece, introduce il concetto di “crisi maturativa” considerando la gravidanza come un processo in cui riaffiorano conflitti infantili principalmente legati alle prime relazioni e identificazioni con la figura materna. Tali conflitti trovano in questa fase una risoluzione, che implica una rielaborazione delle proprie esperienze fino ad arrivare all’acquisizione di un livello di integrazione più maturo. I profondi mutamenti che avvengono in questo importante periodo della vita di una donna potrebbero essere paragonati alle altre due fasi critiche dello sviluppo femminile, ossia la pubertà e la menopausa. Diventare madre porta la donna a paragonarsi dal punto di vista emotivo alla propria madre. Ne consegue che è un’esperienza strettamente legata alla sua storia infantile ed adolescenziale. Con la maternità si passa dal ruolo esclusivo di figlia a quello di madre e figlia. Tale passaggio può essere vissuto in svariati modi in base alle esperienze passate. La mente inevitabilmente ripercorre l’unica esperienza di maternità vissuta, ossia quella con la propria madre rievocando con essa emozioni, vissuti, timori e paure. Se, ad esempio, il rapporto con la figura materna è stato conflittuale e caratterizzato da emozioni negative, la donna tenderà a volersi differenziare “non sarò mai come lei” oppure a esperire timori di inadeguatezza. Tali vissuti, se non elaborati, potrebbero portare la gestante a vivere una crisi scatenata dalla gravidanza che potrebbe sfociare in un vero e proprio disturbo emotivo. Molte ricerche hanno rilevato, infatti, che un alto grado di stress emotivo e disturbi di ansia possono fungere da fattori di rischio per l’insorgenza della depressione post-partum, di cui parlerò più avanti. Durante la gravidanza hanno luogo molteplici cambiamenti, alcuni visibili ad occhio nudo ed altri meno tangibili, ma spesso rilevabili negli occhi di chi li vive. Tra i più evidenti ci sono sicuramente le trasformazioni corporee, che possono essere vissute con emozioni contrastanti. Se da un lato si teme di perdere il controllo su di un processo che segue il proprio corso senza poter fare nulla, dall’altra è proprio attraverso questi mutamenti che si attesta la presenza della vita che cresce nel grembo materno. Ciò che avviene nel corpo ha una sua controparte nella mente. La donna ha la tendenza a ripiegarsi su di sé e a ritirarsi in una sorta di fusione mentale con il feto. Mentre il corpo della futura mamma cambia per accogliere e contenere il bambino, la mente inizia a fantasticare sul bambino, su se stessa nel ruolo di madre e sulla relazione che si verrà a creare tra loro. Lo Psicoanalista Daniel Stern evidenzia come “l’assetto materno” scaturisce dal lavoro intrapsichico della donna durante tutto l’arco della gravidanza, non si forma nel momento del parto, ma affiora a poco a poco durante la gestazione e nei mesi successivi alla nascita. I primi mesi di gestazione sono per la donna un periodo di incertezza e incredulità. I cambiamenti fisici non sono ancora visibili, ma i mutamenti fisiologici e ormonali possono causare stanchezza, nausea e cambiamenti umorali. Inoltre sin da subito la donna si trova a dover attuare dei cambiamenti nelle abitudini alimentari, lavorativi e anche nei ritmi di vita. E’ proprio attraverso questi cambiamenti di comportamenti in funzione di qualcuno che c’è, ma ancora non c’è, che la donna gradualmente si adatta ai nuovi ritmi e alle necessità della nuova vita che sta per arrivare. Tutto questo, unitamente al rischio di interruzione spontanea della gravidanza, possibile in questa fase, non consente alla donna di gioire pienamente e possono insorgere preoccupazioni e paure dettate dalla mancanza di segnali corporei che indichino la vitalità del bambino tipici delle fasi successive. Le preoccupazioni più frequenti esperite in questa fase sono relative alla salute del piccolo, al fatto che cresca adeguatamente e che non abbia malformazioni o altre patologie. Possono anche esserci timori relativi ai cambiamenti che avverranno nel rapporto di coppia, che aprono il capitolo di come viene vissuta la sessualità durante la gravidanza. Molto spesso le donne vivono la sessualità in opposizione alla maternità e i rapporti sessuali tendono a diminuire anche in relazione alla credenza che si possa nuocere all’embrione in una fase così delicata. L’intimità della coppia, quindi, durante la gestazione necessita di nuovi equilibri. Un ulteriore aspetto fondamentale dal punto di vista psicologico è che in questa fase la donna affronta un primo importante compito adattativo, ossia l’accettazione dell’embrione prima e feto poi, come parte integrante del sé. La mancata accettazione del bambino che cresce nel ventre materno può porre le basi per problematiche di diversa entità. Infine possono riemergere conflitti interni e la percezione di sentimenti di ambivalenza sia nei confronti del figlio che di se stesse come madri. Comuni ma difficili da ammettere, perché socialmente stigmatizzati, sono la paura di perdere la propria libertà e momenti di “ripensamento”. Nel secondo trimestre i futuri genitori vivono un periodo maggiormente sereno: l’eventualità di aborto spontaneo è fortemente ridotta, possono, quindi, iniziare a “pensarsi” nel loro nuovo ruolo di madre e padre e predisporre il passaggio da coppia a coppia genitoriale. Dal momento del concepimento nella mente dei futuri genitori si inizia a instaurare il pensiero di sé e dell’altro nel ruolo di genitore e di come cambierà la relazione di coppia con l’arrivo del neonato. I rapporti diadici ormai consolidati vengono messi in discussione e vivono un periodo di assestamento alla ricerca di nuovi equilibri. Un passaggio molto importante nella coppia è sicuramente quello relativo alla condivisione di questi aggiustamenti attraverso una comunicazione che non sia solo verbale ma anche emotiva tra i due partner. Molti conflitti e tensioni nascono proprio dalla mancanza di comunicazione ed empatia. Inoltre la percezione dei movimenti del feto rendono il bambino “vivo e reale” e questo dà luogo alle prime rappresentazioni materne del nascituro. La costante comunicazione intrauterina è una tappa fondamentale per la costruzione del rapporto tra madre e figlio e lo diventa anche per la figura paterna nel momento in cui tali movimenti divengono percepibili anche dall’esterno. A tali movimenti viene attribuita una diversa valenza affettiva, quale ad esempio la gioia, il disagio, il gioco. E’ proprio da questi momenti che si fonda quell’indissolubile legame affettivo tra un figlio e i propri genitori. Alcuni studi hanno rilevato che le rappresentazioni materne e lo stato mentale relativo all’attaccamento durante la gravidanza possano prevedere la qualità di attaccamento del bambino a un anno d’età. Nell’ultima parte della gravidanza la voglia di conoscere il bimbo che si porta in grembo si alterna e, in un certo senso si scontra, con la paura del travaglio e del parto e con la fatica fisica data da un corpo che diviene sempre più “ingombrante”. Il timore di provare dolore e di non riuscire ad affrontarlo porta in sé anche il dolore emotivo per la perdita del bambino interno e, quindi, dell’unione simbiotica prenatale. Un altro elemento estremamente importante è che in tutto il corso della gravidanza le fantasie fatte dai futuri genitori sul bambino si condensano in un “bambino immaginario” che, con la nascita, si incontreranno con il “bambino reale”, molto spesso diverso da quello che avevano immaginato e sognato. Tanto più grande sarà il divario tra quanto ci si era prospettati e la realtà, tanto più esteso sarà il tempo di elaborazione psicologica necessario ai due genitori per ovviare alle tensioni che ciò ha scaturito. In sintesi sono innumerevoli i cambiamenti e gli aggiustamenti che avvengono nei nove mesi di attesa e come la donna e la coppia li vive è fondamentale per il buon esito di questa importantissima ed emozionante fase della vita. Quanto fin qui emerso rende evidente come il bambino, pur non essendo ancora entrato fisicamente nelle vite dei futuri genitori, li porti ad agire in sua funzione fin dalle primissime fasi della gravidanza. Un altro punto importante da trattare è cosa accade al nascituro quando le tensioni emotive della gestante sono eccessive. Negli ultimi anni sono state moltissime le ricerche volte ad approfondire e studiare la vita pre e perinatale. Si è rilevato come alti livelli di stress pre e perinatali possano influire sul feto e avere ripercussioni future. Ne consegue che è indispensabile monitorare attentamente le esperienze negative e dolorose a cui il feto viene sottoposto ed esplorare le possibili soluzioni da mettere in atto nel caso sia impossibile evitarle al nascituro. Ancora oggi nell’immaginario collettivo la maternità è un evento connotato sempre e solo in senso positivo e la futura mamma si trova spesso in difficoltà, ed anche un po’ in imbarazzo, a rivelare alle persone che la circondano le difficoltà, le preoccupazioni, i timori e le ansie esperite. Le mille sfaccettature della gravidanza ci portano a riflettere sul fatto che questa fase non è sempre la stagione luminosa che tutti vorremmo, ma a volte i momenti bui possono prendere il sopravvento. Affinché questo possa davvero essere un periodo positivo risulta fondamentale porre le condizioni per una gestazione consapevole e condivisa nella coppia. L’attesa consapevole, infatti, fa crescere il grembo psichico in concomitanza a quello biologico, ossia fa crescere la capacità di essere mamma. Non deve essere più un tabù affrontare argomenti che parlano del lato più cupo della maternità come il baby blues, disturbo emozionale transitorio e di breve durata che colpisce le donne a distanza di 3/4 giorni dal parto caratterizzato da senso di svuotamento, tristezza e malinconia e la depressione post-partum, che talvolta può instaurarsi sui sintomi del baby blues che non recedono spontaneamente. La costellazione sintomatologica che caratterizza la depressione post-partum può comprendere sentimenti di inadeguatezza, d’incompetenza e disperazione, collera, ipersensibilità, ansia, vergogna, odio e trascuratezza verso se stesse e il bambino, disturbi di sonno e dell’appetito, calo del desiderio sessuale e pensieri suicidari (Raphael Leff 1991, Nonacs 2005). Un dato importante è che spesso tale disturbo ha il suo esordio durante o addirittura prima della gravidanza e sono stati individuati degli elementi di vulnerabilità che, in questa fase, possono essere rilevati onde prevenire l’esacerbarsi della patologia. Tra i fattori di rischio più frequenti ci sono: una storia psicopatologica pregressa, familiarità psichiatrica, giovane età, conflittualità di coppia, recenti eventi di vita stressanti, problemi economici e mancanza di sostegno sociale. L’individuazione precoce dei disturbi del post-partum è essenziale per il benessere della neomamma, del suo bambino, dell’intero nucleo familiare e delle altre persone che stanno loro vicino. E’ proprio grazie alla prevenzione e all’intervento precoce che si pongono le basi per una relazione sana con il proprio bambino e quindi una crescita, non scevra da difficoltà, ma il più possibile serena. I disturbi dell’umore nel periodo del puerperio meritano attenzione clinica sia per la sofferenza che comportano, sia per i rischi che implicano per la madre e per il bambino. Studi recenti sottolineano la necessità di valutare attentamente anche le forme di lieve e media entità, in quanto possono condurre a una rilevante compromissione della qualità di accudimento, che può fungere da fattore di rischio per lo sviluppo affettivo e cognitivo del bambino (Goodman e Gotlib, 1999). Winnicott, illustre Pediatra e Psicoanalista, affermava che “Vi sono persone che rimangono colpite quando scoprono che un neonato non suscita in loro solo sentimenti d’amore”. E’ fondamentale essere a conoscenza del fatto che anche l’aggressività è una componente dell’amore materno e che ci si può sentire inadeguate, impotenti, in colpa, arrabbiate, esauste, distrutte ma ciò non significa essere madri “cattive”. Il sostegno psicologico, l’ascolto ed il rispetto dei propri vissuti e sensazioni risulta essenziale per la futura o neomamma. Le incertezze, le preoccupazioni per il modificarsi delle relazioni, se lasciati “covare” dentro di sé possono turbare la “dolce attesa” rendendola così non tanto dolce. Quello che in questi casi è importante fare è non isolarsi ma parlare con una persona esperta e capace, magari rendendo anche partecipe il partner. In conclusione risulta fondamentale parlare con chi, attraverso una relazione accogliente, possa aiutare la donna a capire cosa sta accadendo e come superare le difficoltà esperite al fine di riuscire a vivere il più possibile serenamente e autenticamente l’esperienza della maternità. Dott.ssa Jessica Combi Psicologa BIBLIOGRAFIA
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- Raphael-Leff J. (1991). Psychological processes of chilbearing. Chapman and Hall.
- Stern D., Bruschweiler Stern N. (1999). Nascita di una madre come l’esperienza della maternità cambia una donna. Milano, Mondadori.
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